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«Penso che quest'anno dovremmo abbatterlo».
Il pastore si tolse la pecora dalle spalle e la posò a terra. L'animale barcollò poi gironzolò qua e là, infine si fermò e iniziò a brucare con poca convinzione. Non si sarebbe saziata granché dato che l'erba era di plastica, ma, d'altro canto, anche la pecora era di plastica.
«Sì dovremmo abbatterlo» ripetè.
S. Giuseppe alzò lo sguardo verso l'abete, poi estrasse un sigaro dalla tunica e lo avvicinò alla fiamma della lucerna.
«È più storto dell'anno scorso» insistette il pastore «Se non lo tagliamo, cadrà sulla capanna e sfascerà tutto».
S. Giuseppe si sedette su un masso, cercando di soffiare fuori degli anelli di fumo. La sua bocca era assolutamente circolare e, se quello fosse stato un sigaro vero, sarebbero stati perfetti.
Il pastore squadrò con astio i fitti rami scuri alle sue spalle «E poi è un simbolo pagano» .
«Oh, andiamo, piantala!» trillò una voce dal folto dell'albero. Un esserino alato si fece largo tra le fronde. Se ci fosse stata corrente, le sue ali sarebbero state luminose e avrebbero diffuso intorno scintilli variopinti, ma, anche così, faceva la sua figura. Anzi, riusciva a sembrare un angelo anziché una fata. «Non t'importa un accidenti di quello che è. Quello che ti frega è avere un po' più di spazio per la tua dannata erba».
«Ma la senti come parla?» si lamentò il pastore «Non dimostra il minimo rispetto. E poi non è la mia dannata erba, non è vero ragazzi?». Gli altri pastori, intorno, non si mostrarono molto interessati. Ma già, loro non dovevano portarsi una pecora sulle spalle tutto il tempo. Il fatto era che essere il buon pastore comportava delle responsabilità.
Guardò l'animale che continuava a brucare. Se si fosse perso avrebbe dovuto andare a cercarlo e ci sarebbe stato un po' di movimento, invece...
«Eh già, a te basta fumare il tuo sigaro».
«Mia moglie non vuole che prenda l'abitudine di fumare in casa. Dice che farebbe male al bambino. E poi il sigaro mi ricorda Joe. Te lo ricordi Joe?».
«Come no? Un tipo simpatico».
S. Giuseppe annuì. «Già. Simpatico. Un po' strano. Mi sono sempre domandato che cosa ci facesse qui un tale con un fucile puntato verso la taverna».
Il pastore si grattò la testa. «Be’.... dicono che il taverniere sia il diavolo. Insomma... invita tutti a bere e mangiare nella notte santa...».
S. Giuseppe alzò le spalle. «Fa il suo mestiere».
«Ecco vedi?» trillò la fata (Winx si chiamava, ma, come tutti gli anziani, S. Giuseppe e il pastore avevano qualche difficoltà con i nomi stranieri) «il diavolo sì e l'abete no?».
Il pastore si girò di scatto, come se cercasse qualcosa da dire, non la trovò e agitò il pugno verso i rami.
L'albero agitò le fronde. Era l'unico tipo di risposta che aveva e non si capiva mai bene che cosa volesse dire. D'altronde, era pur sempre una pianta.
«Chissà che fine ha fatto Joe» disse S. Giuseppe. Il pastore era in imbarazzo e cambiare argomento era il modo migliore di far finta di niente. Era una pasta d'uomo, in fondo, anche se ogni anno tirava fuori la stessa storia.
«Mi pare che se ne sia andato tre / quattro anni fa. L'anno prima c'era e l'anno dopo no».
«Io credo che sia stato venti anni fa».
Il pastore rimase in silenzio «Le cose cambiano». Cercò la pecora, ma quella era sempre al suo posto. Solo, aveva alzato il testone verso le palle colorate appese ai rami. Magari pensava che fossero più buone dell'erba. Mica aveva considerato che non ci sarebbe arrivata mai. Avrebbero dovuto dargli un agnello a cui badare, ecco. Un agnello sarebbe stato più sveglio. Senz'altro, più leggero.
La fata era tornata al suo posto tra i rami. Un paio di angeli la fissavano con insistenza. Il problema era che la fata era indubbiamente di sesso femminile, mentre gli angeli... be’ ognuno aveva i suoi problemi.
«Quando nascerà il bambino?».
«Fra qualche notte, come al solito».
«Certe cose non cambiano mai».
Il pastore osservò la mangiatoia vuota. Ne era andata e venuta di gente, ma era quello il centro. Lo sarebbe stato sempre, anche se la colla avesse ceduto e lui si fosse trovato a gambe all'aria, come era successo a due suoi colleghi, anche se l'albero si fosse stufato di agitare i rami e avesse detto qualcosa, persino anche se la pecora fosse riuscita a mangiare l'erba.
Sorrise, guardando il cuore ancora vuoto della capanna, e poi S. Giuseppe, che probabilmente aveva i suoi stessi pensieri e sorrideva ancora di più, benché neppure quel sorriso potesse esprimere in pieno la sua gioia. Niente la poteva esprimere.
No, certe cose non cambiavano mai.
Alzò lo sguardo vero l'abete.
«Forse non è poi così storto» disse.